Resilienza
Mostra itinerante nelle sedi di Banca Generali a Milano, Treviso, Como. Curata da Marco Bazzini. 2017/2019
In questi ultimi tempi, e quasi come un mantra, Balzano ripete alcuni versi di una poesia di William Ernest Henley del 1888: Io sono il padrone del mio destino / Io sono il capitano della mia anima.
Si dice sia stata anche la poesia che ha accompagnato e rassicurato Nelson Mandela durante la sua prigionia in Sudafrica ma soprattutto sono parole che invitano a riprendere in mano il proprio futuro, “a conservare la propria integrità e il proprio scopo fondamentale di fronte a una drastica modificazione delle circostanze”.
Quei versi sono un modo diverso di certificare con le parole quanto è possibile ricavare dall’osservazione delle sue opere. Soprattutto dalla figura del toro, ma anche dalle altre iconografie, nasce l’invito di Balzano a tenere sempre nella vita e nell’arte un comportamento resiliente.
Quella della resilienza è una strategia e una capacità a cui il nostro arriva nel tempo e a cui dedica la sua ultima serie di lavori a partire dal grande toro a testa in giù che non esita a intitolare proprio Io siamo resilienza. Ma questa capacità di reagire è un carattere che in filigrana è possibile rintracciare fin dall’inizio del suo lavoro, dieci anni addietro. Un approdo che permette di ricostruire una linea coerente di ricerca e allo stesso tempo potersi aprire a nuove possibilità operative per il futuro.
Come nel 2008, sempre a Milano, ritroviamo una grande scultura in piazza, questa volta il toro è rappresentato nella posizione tipica di una caduta, quella stessa iconografia che abbiamo già trovato nel piccolissimo toro su fondo oro. In questo nuovo lavoro, però, è il toro a raddoppiare la sua immagine su una base specchiante che rappresenta la sagoma della mappa della città di Milano ottenuta attraverso la sovrapposizione dei diversi continenti. A partire da questo scontro che avviene su Milano, e per proprietà transitiva sul mondo, il toro si apre alla pluralità e quell’inciampo di coniugazione apparso nel titolo (io siamo) non è un errore ma piuttosto la massima apertura all’empatia e alla piena scoperta di tutto quanto ci sta intorno. Non si tratta, però, di considerare tutti simili, se così fosse avremmo una nuova storia di difficili convivenze. La resilienza si attiva non soltanto in sistemi in cui è attivo un non equilibrio ma anche in quelli ricchi di differenze. In termini ecologici potremmo dire in ambienti in cui la biodiversità è grande.
Proprio perché si ricercano nuove e differenti possibilità anche il nuovo rito che è possibile ripetere intorno a questa scultura, a Milano è già presente un toro all’interno della Galleria Vittorio Emanuele sui cui si celebra un particolare gesto di scaramanzia, può avvenire soltanto se consapevoli che si tratti di un atto di rinascita e non di semplice superstizione.
Ma non è soltanto nella grande scultura che si presenta il tema del doppio, questo sembra dominare l’intera serie anche delle pitture. Rispetto alle immagini sovrapposte che abbiamo visto essere talvolta presenti nelle opere degli anni passati, Balzano introduce una novità operativa che ha forti implicazioni sul piano teorico. Queste nuove pitture che si intitolano tutte Io siamo … sono state realizzate a coppie ed è per questo che gli aggettivi che completano il titolo sono tra loro complementari: artificiosità e naturalezza, robustezza e dolcezza, ragionevolezza e insensatezza, soltanto per fare degli esempi. Italo Calvino nelle sue Lezioni americane ci ha insegnato che ogni carattere ha bisogno non del suo contrario ma del suo complementare, per questo la leggerezza ha bisogno della pesantezza così come il vuoto del pieno.
Sulle tele Balzano ha creato un rispecchiamento tra due diversi soggetti e lo ha fatto utilizzando la tecnica dell’impronta, ancora una volta uno scontro. Ha stretto a contatto le due superfici dove aveva precedentemente dipinto due differenti temi per creare su ambedue le facce una nuova pittura alla cieca, dopodichè a lanciato da quattro metri una testa di toro in argilla sulle due tele. In questo modo Balzano mette in riserva il suo originale gesto pittorico e apre alla casualità di una doppia figura negata alla vista durante la sua realizzazione. Dal buio, da una perdita di controllo, da un’incidente si origina una nuova pittura che ancora di più porta i segni di un non finito, di un precario, di un provvisorio. È una pittura che nasce senza pennello, che si forma sul piano orizzontale per la necessità dell’imprimere e proprio per questo si presenta come una sola immagine e non come un montaggio.
Sappiamo che non esiste un’unica singola e valida ricetta per la resilienza ma quella attuata da Balzano mette in connessione i diversi elementi esterni a quelle che possono essere le nostre previsioni. Come abbiamo detto un cammino di resilienza non si profila in un unico scenario, anzi, assume la condizione che non sapremo di preciso come andranno le cose, consapevoli che saremo sorpresi dagli esiti e che dovremo assumere anche gli errori.
Il maggiore errore, però, che una civiltà, ma anche l’arte, può commettere è quello di ritenersi immune alla fragilità o al riparo dagli sconvolgimenti, vale a dire rimanere nel più comodo conformismo. L’avvelenamento avviene lento con un’erosione e una crescente mancanza di elasticità nei sistemi politici, sociali, economici e culturali. In qualsiasi momento questi sistemi possono crollare di fronte a una sfida inaspettata e trovarsi ammassati tra le rovine che disegnano una nuova geografia. Per questo, oltre che per una volontà di giustizia, Balzano ha fatto coincidere, quali ancora una volta complementari, le sagome delle piante delle più grandi e ricche città del pianeta con la somma di quelle più povere.
L’arte non sta mai al suo posto e l’artista può partire a raccontare il mondo dalla posizione scomoda dell’utopia per verificare che la scena che si dispiega davanti agli occhi è spia di una dimensione che non dipende esclusivamente dalle strutture stabilite del sapere.
Ogni immagine prodotta da Christian Balzano in questi dieci anni introduce un fruttuoso disordine, un virus che altera il pensiero sistematico ed il perché è facile a dirsi: lo richiede la provvisorietà della pittura che è fatta di diversità e lo pretende la resilienza, per ora l’unica strategia di futuro, che è radicata nella differenza e nella tolleranza verso l’occasionale dissenso. Ecco trovati nella pittura e nell’arte di Balzano quel qualcosa che sta sotto il travestimento.
Marco Bazzini
info@christianbalzano.com